PROUD to FAIL
Un dialogo sul coraggio di sperimentare. Perché, se hai fatto pochi errori, vuol dire che non ci stai provando abbastanza. Con ospiti del mondo del business, e non solo.
A cura di Italo Marconi, Chief Innovation Officer di Connexia.
DIALOGANDO CON…
Federico Napoli,
Head of New Banking Products di FCA BANK.
PROUD to FAIL con Federico Napoli
Benvenuto Federico! Come stai?
Ciao a tutti gli ascoltatori! Grazie dell’invito! Sto bene, grazie. Contento di essere con voi.
C’è stato un errore, nella tua vita professionale, che si è rivelato inaspettatamente proficuo e che abbia favorito la tua crescita?
Errori nella vita se ne fanno tanti: alla mia età non li conto neanche più. Diciamo, piuttosto, che c’è stato un momento della mia vita professionale in cui la vecchia azienda in cui lavoravo era un po’ in difficoltà (correva l’anno 2016, più o meno). Ovviamente nei percorsi professionali non sempre è tutto in crescita: alle volte hai anche “movimenti laterali”, per così dire. È però stato un anno in cui comunque ho avuto modo di studiare l’innovazione, i customer insight e altri temi che mi interessavano molto. Anche perché era stato collocato in ufficio che mi consentiva di approcciare quei temi.
Alla fine di quell’anno, dunque, tornai a studiare a Londra perché anche sentivo il bisogno di rinfrescare le mie conoscenze. Andai fondamentalmente a studiare innovazione, e quello mi consentì poi di mettermi in mostra all’interno dell’azienda. A quel punto mi proposero di andare a lavorare in una startup che stava per uscire sul mercato nell’arco di circa un anno.
Più che un errore, quindi, per me fu una scelta d’istinto immediato. Dire: “Per quello che è stato il mio percorso, per dove mi trovo ora, voglio fare questa esperienza imprenditoriale prendendo su di me tutti i rischi annessi e connessi”. D’altronde, come puoi immaginare, in una grande azienda una piccola startup nasce anche portandosi dietro numerosi dubbi, problemi, perplessità. Rimane comunque un progetto che può avere dei rischi per chi vi prende parte, ma devo dire non ci pensai neanche un millisecondo. E molti, tra quelli a me più vicini, i colleghi più fidati insomma, mi dissero che stavo facendo un errore, che stavo rischiando troppo.
Quindi, più che un errore che sentii di aver fatto, si tratta di un errore che mi fu al tempo in qualche modo attribuito, anche se in modo – lasciami dire – bonario. In realtà quella si rivelò un’esperienza imprenditoriale certamente impegnativa, ma che mi ha formato tantissimo e mi ha consentito, poi, anche di mettermi alla prova e commettere tanti errori (come avviene d’altronde in tutte le startup) e, allo stesso tempo, di raggiungere grandi successi, di acquisire delle competenze che ancora oggi porto dentro e si rivelano sempre utili.
Quindi hai scelto di rischiare e di non aver paura di poter sbagliare.
Ho scelto di rischiare. E qui andiamo a introdurre, secondo me, parlando di errori, il concetto di rischio, che è un concetto associato. Io provengo da una carriera bancaria, e in banca, sbagliando, in alcuni casi si possono provocare dei grossi danni. Pensa cosa possa significare sbagliare nel processo di erogazione del credito: può significare mettere a rischio i soldi dei correntisti piuttosto che dei depositanti.
Applico una metafora bancaria, ma in generale il concetto di errore è connesso al concetto di “appetito al rischio”: “Quanto ho io voglia di rischiare nella mia vita personale e professionale?”. Da questo equilibrio – che è un equilibrio complicatissimo – nascono le grandi innovazioni, le grandi idee, le grandi scoperte scientifiche. La Storia è costellata di bellissime storie (appunto) di gente che rischia, sbaglia, magari, ma sbagliando tante volte approda poi a una grande scoperta, una grande innovazione. I due concetti, secondo me, sono connessi.
Quindi il concetto di errore è accostato a quello di “serendipity”: la scoperta accidentale di qualcosa che non ti aspetti.
Assolutamente sì. Nel mondo del business, in particolare, la consapevolezza e l’assunzione dei rischi significa anche sbagliare, e sbagliare può portare sicuramente alla grande idea, ma anche, evidentemente, a dei guai. Chiaramente non sempre “sbagliare” è esente da conseguenze negative: può averne, evidentemente. E, fra l’altro, preparando per la nostra chiacchierata, ho preso in mano un libro (cercavo in realtà tutt’altro titolo) che mette proprio in correlazione gli errori con le grandi filosofie del passato.
Ho trovato un passaggio particolarmente interessante, legato alla Teoria dell’Evoluzione di Charles Darwin. Senza entrare in argomenti prettamente scientifici, Darwin aveva compreso che le tante varianti che poi venivano selezionate erano quelle più capaci di adattarsi. Ciò di cui però non si capacitava era il perché ve ne fossero così tante. Lui lo attribuiva fondamentalmente al caso, facendo ovviamente irritare i Creazionisti.
In realtà la scoperta scientifica ha poi attribuito questa casualità agli errori di trascrizione del DNA, che sono in realtà una conseguenza naturale dell’evoluzione biologica. Quindi è affascinante sapere che la storia dell’evoluzione delle specie è collegata a una marea di errori che si generano nella trascrizione del DNA, che poi portano alla selezione delle varianti migliori. È una prospettiva estremamente affascinante: cosa c’è d’altronde di più forte della storia dell’evoluzione delle specie? Quindi anche dalla biologia, dal DNA, dalle cellule c’è qualcosa da imparare.
Quello che dici è straordinariamente interessante. Dal tuo punto di vista come si fa a promuovere questi processi nel contesto di un'organizzazione complessa che deve evolversi, che deve crescere in modo organico?
Permettimi di tornare nel mondo del business, che è quello a me più affine. Torniamo al concetto di correlazione al rischio, cioè lo stabilire esattamente, in un’organizzazione grande o piccola che sia, qual è l’”appetito al rischio” (i libri di teoria parlano di “risk appetite framework”). “Qual è il livello di rischio che io mi posso assumere, anche, eventualmente, “segregando” in unità particolari, ad esempio in una startup interna?”.
Questo è un concetto fondamentale. Fintanto che tu non lasci in un’azienda – che, inevitabilmente, è un’organizzazione che ha una componente burocratica – la libertà di rischiare, sapendo quindi, qual è il framework all’interno del quale vuoi rischiare, ecco che non riuscirai evidentemente a commettere degli errori.
Gli errori però – torniamo al tema di Darwin di prima – possono portare a grandi idee. E questo è anche il motivo per cui nel mondo del business esiste sempre una forte tensione fra le startup, che hanno, evidentemente, un “appetito al rischio” più forte, e le grandi corporation, che però, al tempo stesso, vorrebbero avere alcune caratteristiche delle startup (vorrebbero essere anche loro rapide, veloci, dinamiche e capaci di generare idee e innovazione).
È in questa tensione fra errori e ammontare di attitudine al rischio che ci si può permettere, secondo me, di collocare la chiave per favorire l’”errore sano”, quello da cui imparo e da cui ricavo innovazione, nuove idee e processi.
Quindi tu vedi nella corporate entrepreneurship una soluzione organizzativa possibile?
È una possibile soluzione organizzativa. Su questo tema ci sono tanti pensatori, che io seguo sempre con grande passione, e che ti racconteranno che non esiste la ricetta perfetta. Questa però può essere una. Altre grandi aziende semplicemente creano dei “veicoli”, separandoli completamente dall’organizzazione aziendale, e li fanno lavorare in libertà investendo, con rischio, i propri capitali. Altri cercano di innescare l’innovazione all’interno, incoraggiando in qualche modo l’errore.
Dicendo: “Potete in qualche modo sbagliare nell’ambito di questa cornice”. Per migliorare non c’è una ricerca perfetta. Di sicuro (e su questo di dubbi non ne ho, perché un po’ la Storia dell’Economia Occidentale la conosco), se non sei disposto a commettere degli errori, a rischiare, è molto più probabile che un’azienda vada avanti di innovazione incrementale piuttosto che di innovazione “distruttiva”.
Se guardiamo allo scenario delle economie occidentali, questo è ciò che connota alcuni sistemi che fanno un po’ più fatica (come quello italiano) rispetto a ecosistemi di matrice statunitense o di altri Paesi dove esiste maggiore disponibilità e dove anche, soprattutto culturalmente, il fallimento non viene visto come una sconfitta a tutti gli effetti.
Ci puoi dire qualcosa di più della tua esperienza di startupper all'interno di una grande corporate?
È un’esperienza che sto in qualche modo vivendo nel mio attuale incarico, e che richiede grande tenacia. In particolare, se devi portare nuove idee, nuovi modi di lavorare, nuovi modi di fare. Devi comunque essere tenace. Anche rispetto a una struttura che è abituata a lavorare in un determinato modo e con ottimi risultati.
È sempre un’esperienza che richiede grande tenacia, grande entusiasmo e, ti direi, anche grande senso di squadra. Non so se sia giusto o sbagliato, però il mio modo di lavorare non riesce a prescindere da una squadra fortissima e coesa, dove “ci si passa la palla”, ci si aiuta. Non posso immaginare che non si possa fare una startup all’interno di una grande corporation senza poter contare su una squadra ben assortita, in cui ci si compensano a vicenda, ci si aiuta.
Ad eccezione di alcuni casi particolari, le grandi innovazioni sono sempre frutto di un lavoro di squadra. Su questo non ho dubbi. Quindi il concetto del team è per me molto importante. Ecco il motivo per cui i rapporti umani sul lavoro sono fondamentali. Io non riesco a vedere il lavoro in modo distaccato.
Hai parlato di tenacia. Avresti qualche consiglio per chi ha paura di sbagliare?
Bisogna trovare il coraggio dentro di sé, ma potremmo ritrovarci a discutere a lungo del concetto. Viviamo in una società che tende a essere molto conservativa, che ha molta paura (vedi quello che abbiamo vissuto con la pandemia). Quindi bisogna avere il coraggio di sbagliare prendendo la forza dentro se stessi. Ecco, quelli sono momenti inevitabilmente “solitari” (per quanto il team sia importante, per quanto gli amici e la famiglia siano importanti).
Ci sono però dei momenti in cui si ha la lucidità di comprendere di essere sul punto di compiere un gesto potenzialmente rischioso, che può portare a un errore. Lì il coraggio, la consapevolezza e anche – lasciami dire – un pizzico di follia (che non guasta mai) o, piuttosto, di incoscienza sono fondamentali per guardare avanti.
Ecco la metafora del “salto”, molto diffusa nella letteratura sull'innovazione: il salto di fede, il “leap of faith”.
Certamente: io conosco tanti imprenditori (non avendo però io mai fatto l’imprenditore) dotati di un coraggio mostruoso. Capaci di addossarsi il rischio tutto sulle proprie spalle. È usurante, però, allo stesso tempo, consente di fare dei salti “forti”. La fiducia in se stessi: ecco, questa è una caratteristica che ho riscontrato in molti imprenditori. Il coraggio poi si costruisce con l’allenamento, come tutte le cose.
Stai alludendo a un altro concetto che è molto importante quando si fa innovazione: quello della perseveranza.
La costanza, il “non mollare”, è un elemento fondamentale. Non solo su singoli progetti, ma anche su quegli aspetti più “soft” di cui si discuteva. Alle volte, però, può essere una buona idea concedersi una mezza giornata per riflettere, e poi riprendere con vigore. Ma la tenacia è certamente fondamentale. Io ho impiegato molto tempo per raggiungere questa consapevolezza, e non è detto che riesca sempre ad applicarla.
Ci puoi dire qual è la startup di cui stiamo parlando?
La startup era (ed è) buddy bank, nella quale ho operato per quasi quattro anni.
Il mio attuale ruolo è quello di Responsabile dei new banking products in FCA Bank, dove, sostanzialmente, ho l’incarico di curare la parte che a me piace chiamare di “daily banking”, ovvero, di far percepire FCA Bank a tutti nostri clienti (che sono tanti e che ci approcciano prevalentemente tramite il finanziamento auto) come un partner del daily banking, capace di fornire altri servizi bancari, come ad esempio le carte o il conto deposito. Si tratta, quindi, di un progetto di innovazione, se vogliamo: un piccolo dipartimento di startup all’interno di un’azienda come FCA Bank, estremamente solida e capillarmente distribuita in tutta Europa.
Mi sono dunque avvalso dell’esperienza fatta in buddybank per portare quel tipo di know-how all’interno di FCA Bank. Tutto poi visto dall’angolo della mobilità, un settore molto interessante, soprattutto ora che il mondo riprende a muoversi.
Ti viene in mente, sul tema dell'errore, un libro o qualche strumento utile che potremmo suggerire a chi ci sta ascoltando?
Tanti. Comincio da “Il Giovane Holden” di Salinger. Che, a prima vista, non sembra essere in tema. Però è forse il libro che mi ha emozionato di più.
In realtà, poi, il percorso di Holden Caulfield è il percorso di un giovane adolescente che commette una marea di errori, tantissimi errori, e che poi alla fine li riguarda in prospettiva. E, guardandoli in prospettiva, si comprende la maturazione del personaggio. Il tutto con un’autoironia e un’ironia che ancora oggi trovo geniale.
Questo è un libro sugli errori che mi sento di consigliare. Ancora oggi fresco e attuale. E anche la vita di J.D. Salinger è una vita particolare, costellata da errori, ma che ci ha restituito un unico, grande capolavoro.
Il secondo libro si chiama proprio “Errore”, di Giulio Giorello e Pino Donghi, edito da “Il Mulino”. Un libro molto breve (un centinaio di pagine), che si legge velocemente e che, in qualche modo, analizza la storia del pensiero occidentale più recente, per mettere in luce quanto gli errori abbiano consentito l’evoluzione (e la rivoluzione).
Il terzo, che non è direttamente connesso al tema, ma non posso non citarlo, è “Fast Forward” di Julian Birkinshaw e Jonas Ridderstråle: un libro che parla della tensione fra startup e grandi corporation, che parla di sistemi dell’innovazione, che parla, soprattutto, del nostro mondo attuale. Quello che definiscono il mondo dell’information age, dove le informazioni, per sintetizzare in modo brutale, sono talmente tante che in realtà i processi istintivi di scelta prevalgono su machine learning, big data etc.
La componente umana però (è questo uno dei messaggi che emerge da quel libro) è ancora una componente fortissima.
Ce ne sarebbero, però, tanti altri.
Grazie Federico per essere stato con noi e per la bellissima chiacchierata.
E ricordate: siate fieri dei vostri errori! Perché, se fate pochi errori, vuol dire che non ci state provando abbastanza.
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In collaborazione con Manfredi Montanari, Account Executive Connexia.