PROUD to FAIL
Un dialogo sul coraggio di sperimentare. Perché, se hai fatto pochi errori, vuol dire che non ci stai provando abbastanza. Con ospiti del mondo del business, e non solo.
A cura di Italo Marconi, Chief Innovation Officer di Connexia.
DIALOGANDO CON...
Tiziano Bonacchi,
Amministratore Delegato e CFO del Gruppo Peuterey
PROUD to FAIL con Tiziano Bonacchi
Buongiorno Tiziano, benvenuto, come stai?
Bene, grazie. Buongiorno Italo!
Siamo molto contenti che tu sia qui con noi oggi, Tiziano. Vuoi presentarti brevemente a chi ci ascolta?
Volentieri. Sono Tiziano Bonacchi e sono Amministratore Delegato e CFO del Gruppo Peuterey. Un gruppo di Moda, un gruppo del settore «premium», famoso soprattutto per la produzione e la commercializzazione di piumini.
Li conosciamo tutti! Senti, iniziamo subito partendo da una tua esperienza professionale: c'è stato un errore, nella tua vita professionale, che, contrariamente a ciò che ti aspettavi, si è poi rilevato proficuo e che ti abbia permesso di imparare, di crescere o di migliorare la tua vita?
Solitamente mi piace fare riferimento ad un errore che, piuttosto che «durante» la mia vita professionale, è stato all’inizio. Anzi, come hai giustamente sottolineato, ha cambiato la mia vita. È accaduto all’incirca nel 1988, quindi nella Preistoria.
Quando mi sono diplomato. Sono uscito dal liceo con il sacro fuoco della Medicina, io ne ero innamorato, amavo fare il medico e quindi decisi chiaramente di iscrivermi alla Facoltà di Medicina. E il 1988 a Firenze fu il primo anno in cui introdussero lo sbarramento e, quindi, l’esame di ammissione alla facoltà, esame che ho fallito.
Per me è stato un dramma. Un gruppo di miei amici, tutti invece convintissimi di intraprendere la carriera da commercialisti (o comunque di iscriversi alla facoltà di Economia e Commercio) mi hanno letteralmente trascinato ad Economia e Commercio. Non so cosa sia successo, ma ho considerato l’inizio della facoltà come una sfida, una sfida personale.
Mi ci sono buttato con tutto me stesso e sono riuscito benissimo negli studi, ma soprattutto, mi ha dato la possibilità di iniziare una professione (che poi è stata quella in ambito Finance). Io nasco Finance, prima industriale (in aziende industriali) e, successivamente, anche in aziende di servizi finanziari, per poi approdare, come oggi, al ruolo di Executive nel gruppo Peuterey.
Faccio sempre riferimento a questo errore perché è stato un errore che mi ha dato l’opportunità di definire una carriera della quale sono appassionato. Ecco, questo è stato sicuramente un punto di riferimento per me.
Sempre interessante questo, no? Perché poi ci sono delle biforcazioni che producono delle conseguenze inattese. Ma che cos'è che ti affascinava, della professione di medico e che, magari, riemerge anche nella tua attuale professione?
Secondo me quello che mi affascinava nella professione di Medico è il rapporto con gli altri. Io ho sempre visto nella Medicina, in generale, la possibilità soprattutto di aiuto nei confronti degli altri. Ma, in generale, l’importanza della relazione.
Penso che, soprattutto per il lavoro in azienda – per come, poi, oggi sono strutturate le aziende e le organizzazioni – la capacità di gestire le relazioni e i rapporti abbia una rilevanza fondamentale. Ritengo che la gestione delle Risorse Umane sia la chiave del successo della maggior parte delle organizzazioni e questo sicuramente è un elemento di continuità.
Questo è molto interessante, perché nella relazione medico-paziente, nelle relazioni di cura, la capacità di comprendere i bisogni e di empatizzare con l'altro è determinante, no?
Hai usato proprio un termine che prendo sempre come spunto di riferimento: l’empatia. L’empatia è uno dei valori, delle qualità che sono assolutamente necessarie oggi per gestire un’azienda e, quindi, una delle qualità che il manager deve avere.
Quindi non una relazione asimmetrica, verticale e muscolare, con le persone. Questo credo sia proprio un tratto distintivo della tua personalità, che credo i nostri ascoltatori possano percepire anche della voce, dal tuo stile di comunicazione. E quindi questo è stato il primo…il primo «errore sperimentale», che poi ha indirizzato la tua vita professionale. Poi che cosa? Che cosa hai fatto?
Successivamente ho iniziato a lavorare in azienda, in un’azienda industriale, in Nuovo Pignone (gruppo General Electric): azienda che si occupa di un tema abbastanza rilevante al giorno d’oggi, ovvero di condutture di gas e di condotti petroliferi. Successivamente, dopo questa esperienza nella finanza industriale, ho continuato, sempre nell’ambito della Finanza, ma passando a un settore completamente diverso: quello del Lusso.
Sono entrato in un gruppo importante (IT Holding, che oggi non esiste più), all’interno di un brand specifico, Gianfranco Ferré – un brand famosissimo, che ha avuto una storia eccezionale – come Finance Manager. È stata, secondo me, anche questa un’esperienza formante per il percorso che ho avuto negli anni successivi.
L’esperienza che ho fatto successivamente in una banca (come pianificazione finanziaria) mi ha permesso di convincermi che la vicinanza al prodotto, in particolare nel settore del Lusso e della Moda – anche e soprattutto se fai Finance – è rilevante e fondamentale.
Quindi per me l’azienda industriale è diventata un punto di riferimento. Approdare nel gruppo Peuterey, al quale appartengo dal 2010, mi ha dato la possibilità di poter concretizzare tutte le esperienze che avevo acquisito in precedenza.
Hai citato il gruppo Peuterey: in che modo Peuterey promuove – se vuole, se ritiene – la cultura dell'errore?
Devo prima precisare che, tornando proprio al discorso che facevamo in precedenza, sull’importanza delle relazioni all’interno di qualunque tipo di organizzazione, penso che la cultura dell’errore sia strettamente collegata al contesto organizzativo, allo stile di direzione. Ritengo altresì che un contesto organizzativo dove l’elemento essenziale è la fiducia, sia il contesto organizzativo in cui la cultura dell’errore può proliferare. Questo per me è un concetto fondamentale, cioè il concetto di «fiducia», che a sua volta poi si basa sulla competenza e sulla coerenza a quelli che sono i valori, alla vision, alla mission aziendale.
Lo sviluppo della fiducia all’interno delle organizzazioni costituisce, quindi, un elemento essenziale per poter favorire la cultura dell’errore: negli ambienti dove la fiducia regna, è lasciata maggiore possibilità a chi assume le decisioni, a chi prende le decisioni in azienda, di assumersi la responsabilità delle implicazioni e delle conseguenze che queste decisioni comportano. Siano queste decisioni con implicazioni positive o negative.
Quello che ho sempre cercato di mettere in pratica, anche nelle aziende precedenti, è stato, appunto, di attuare questa politica di sviluppo della fiducia nei rapporti interpersonali all’interno dell’azienda, cercando, quindi, di valorizzare tutte le competenze, anche quelle definite «soft». E dunque la gestione dei rapporti interpersonali, lo sviluppo della leadership, la capacità di negoziare nei rapporti interpersonali, di superare i conflitti e le competenze tecniche, oltre a cercare di far rispettare quelle che sono, in continuità, la mission, la vision aziendale, e quelli che sono alcuni valori che oggi sono fondamentali nella gestione di un’azienda. Questo, come dicevo, cerca di superare tutte quelle difficoltà che spesso sono connesse a uno stile di direzione diciamo «di controllo», che non favorisce lo sviluppo perché limita – o cerca di eliminare – l’errore.
E sappiamo tutti benissimo che ogni tentativo di eliminare l’errore è una battaglia persa.
Ma per diversi motivi, sia per motivi strutturali, poiché la maggior parte dei comportamenti sono comportamenti che si attuano per tentativi ed errori, sia perché interviene l’esperienza (che sappiamo benissimo spesso comporta routine e, quindi, perdita di attenzione), l’errore costituisce un mezzo per riportare l’attenzione dove l’avevamo, dove per un po’ su un processo era stata messa da parte.
Quindi, secondo me, ogni tentativo di eliminare l’errore è fallimentare.
Bello questo! E anche paradossale…
Ecco, appunto, è paradossale. Secondo me, anzi, un ambiente della fiducia favorisce l’accountability, la presa di responsabilità e lo sviluppo di questo ambiente è quello che oggi la «managerializzazione», il manager, dovrebbe fare.
È vero, sono d'accordo. Hai parlato di fiducia. È più semplice, forse, avere fiducia nelle persone o in un'organizzazione, in generale, in un oggetto, quando la situazione è nota: accettiamo di salire su un aereo e ci fidiamo, oppure ci affidiamo al pilota perché, come dicevi tu, c'è un impianto di competenze, di regole, di tutele che comunque accresce la nostra fiducia e ci rassicura. Quando, invece, ci troviamo di fronte a un'incertezza radicale come in questo periodo, è un po’ più difficile. Ed è lì che l'errore è in agguato. Il rischio di sbagliare è elevato, sale anche forse l'ansia, l'angoscia. Soprattutto, diciamo, nel vostro settore (però questo è generalizzato a diverse industry) ci troviamo in una fase in cui vi sono oggetti sconosciuti, no? La crisi energetica, la crisi delle catene globali del valore, l’assenza improvvisa di alcuni mercati che prima potevano essere rilevanti per alcuni soggetti e erano centrali. Ecco voi – ma mi interessa soprattutto il tuo punto di vista individuale e manageriale – come fronteggi/ate queste situazioni che sono radicalmente ignote?
Sono temi veramente all’ordine del giorno. In una puntata precedente di Proud to Fail che ho ascoltato era stato preso in considerazione questo tema, che secondo me è molto importante: il concetto di rete di persone.
La capacità di creazione di un network e quindi, se vogliamo, una co-leadership, secondo me è uno degli strumenti utili in questo momento in cui la turbolenza e le minacce che provengono dall’ambiente esterno sono altissime. Per non parlare, poi, di un altro elemento che oggi favorisce l’incertezza, ossia la quantità di informazioni che ci provengono da migliaia di canali differenti e che richiede grande capacità di selezione, classificazione.
In un ambiente di questo genere, secondo me, la capacità di creare un network, la capacità di collaborazione e di co-leadership costituisce una risposta seria a questo tipo di minacce. Quindi si torna un po’ al tema, se vuoi, della capacità di gestire i rapporti e le relazioni e, secondo me, è sempre la risposta più adeguata a quelle che sono le minacce che ci provengono dall’esterno.
Questo è interessante. Per fronteggiare l'incertezza, tu ti affidi anche alla relazione con persone all'interno dell’impresa…
Ecco, all’interno e all’esterno dell’impresa. Penso che i rapporti interpersonali, chiaramente all’interno dell’azienda, e l’organizzazione in cui vivi la maggior parte del tempo, ma anche le relazioni all’esterno, con persone che possono rappresentare un punto di riferimento sotto vari aspetti, costituiscano una risorsa fondamentale. Di questo sono estremamente convinto.
Certo, sono molto d'accordo. Continua a emergere questa parola: relazione, relazione, relazione. Io la trovo particolarmente interessante perché, alla fine, come dicevi, siamo, dal punto di vista individuale, professionale, però forse anche aziendale, soggetti in relazione con gli altri. Questo lo vedi anche dal punto di vista dell'impresa? Come si colloca l'impresa, soprattutto l'impresa della Moda, perché tradizionalmente il settore del cosiddetto abbigliamento è un settore articolato, animato da una catena del valore abbastanza complessa. Quindi la questione della relazione è centrale: la relazione con i supplier, la relazione – che oggi diventa sempre più importante – con il cliente, con l’all sales. Ecco, come impostate le relazioni con tutti questi soggetti che vi aiutano a generare valore?
Ad esempio, durante il periodo della pandemia – che è stato un periodo particolarmente complicato, soprattutto per il settore dell’abbigliamento, legato alla chiusura di tutti negozi, in cui la nostra clientela all sales ha passato, come sappiamo, dei momenti molto complicati – la nostra risposta, che ha dato dei frutti molto interessanti e molto importanti nella continuità anche della nostra azienda, è stata quella di lavorare su un concetto proprio di relazione, di partnership.
Quello che abbiamo cercato di fare mi sembra anche un esempio molto interessante, da questo punto di vista: trovare una partnership, un accordo con tutti i nostri clienti, in modo tale da condividere il rischio derivante dal periodo pandemico e condividerlo insieme attraverso, ad esempio, la concessione di resi o di sconti che permettevano in qualche modo di superare il periodo difficile dal punto di vista economico-finanziario, e di poter, quindi, garantire una collaborazione ai nostri clienti che permettesse loro di superare il periodo ma, allo stesso tempo, di creare quel rapporto di fiducia, appunto, che desse continuità.
Ci abbiamo creduto molto e ha avuto degli effetti positivi, questo tipo di politica commerciale, che abbiamo utilizzato e ci ha permesso, successivamente, di superare in maniera veloce il periodo di difficoltà.
Ecco, questa secondo me è stata una delle mosse che il nostro Gruppo ha fatto per venire incontro ai nostri clienti, e che ha dato i frutti più importanti.
È molto, molto interessante. Sempre stando sulla fiducia: i talenti?
Diciamo che il settore della Moda, lo sai benissimo, è il settore in cui maggiormente ci deve essere una valorizzazione dei talenti. Penso che abbiamo fatto tanto, soprattutto in tutta l’area creativa. Tornando sempre al concetto di relazione, diciamo che per le aziende ad alto contenuto di creatività, come sono appunto le aziende della Moda, la valorizzazione dei talenti è e ha una rilevanza fondamentale.
E proprio per l’importanza della relazione, la nostra azienda ha sempre dato grandi opportunità, soprattutto nell’area creativa, ai giovani e ai creativi all’inizio delle loro esperienze, dando loro, appunto, l’opportunità di crescere e di poter trarre esperienza da quelli che sono i nostri designer, tra virgolette, «più anziani», o meglio, con più esperienza.
E, sempre considerando la questione della fiducia e della relazione: voi, tra gli altri, avete anche una figura molto importante all'interno del Gruppo che è la Presidente, Francesca Lusini, che ha un ruolo di leadership molto importante e che è una donna. Ecco, la questione di quella che chiamiamo, anche se ormai è un po’ una buzzword, Diversity&Inclusion, che è un altro tema importante, come sai, all'interno del settore. Ecco, come la interpreti?
Si, Presidente del Gruppo è Francesca Lusini, che tra l’altro rappresenta, diciamo, il «guardian angel», come io la definisco, del nostro brand, la figura che all’interno dell’azienda lavora essenzialmente soprattutto sull’area creativa, indirizzando quelli che sono i valori relativi al nostro brand e garantendone la continuità.
Francesca è un’imprenditrice molto attiva e, allo stesso tempo, è un’imprenditrice che, avendo fatto tutto il suo percorso professionale all’interno dell’azienda – perché in questa azienda lei è nata come Legale, quindi come Avvocato – e, quindi, entrando anche dal basso, passatemi il termine, è in contatto con l’organizzazione e, avendo fatto un po’ un percorso di crescita interna, conosce molto bene tutto l’ambito organizzativo, conosce molto bene la catena del valore e tutte le sue caratteristiche.
Questo le permette di intervenire proattivamente e attivamente all’interno dell’azienda, conoscendone tutte le sue peculiarità. Il fatto che sia donna è rilevante. Dobbiamo anche sottolineare che la nostra azienda, per l’80%, è un’azienda di donne e, quindi, anche se il Presidente fosse stato un uomo, comunque la quota rappresentativa del sesso femminile sarebbe stata molto ampia.
Diciamo che, in questo caso, il sesso maschile è in minoranza, e la cosa molto interessante è che tutto ciò è avvenuto in maniera automatica e ci sono state anche delle attività importanti volte a supportare il ruolo della donna all’interno dell’azienda. La creazione, ad esempio, di una nursery interna per venire incontro alle esigenze specifiche delle donne con bambini, è stato un altro passo fondamentale che ha favorito ancora la Diversity&Inclusion.
L’attenzione a questi temi, quindi, c’è. Ma la cosa interessante è che tutto è avvenuto in maniera naturale. Forse già dalla nascita, se vuoi, perché, quando sono entrato in azienda nel 2010, 12 anni fa, la percentuale di collaboratori di sesso femminile era molto alta e c’era già molta attenzione a tutti questi aspetti, anche dal punto di vista della diversity.
È una cosa abbastanza connaturata.
Connaturata. Quindi anche questo è un elemento che fa un po’ parte del DNA dell'impresa e anche del DNA stesso degli imprenditori e dei manager dell'impresa. Ci avviamo alla chiusura. Avresti qualche consiglio, anche se ne hai già forniti tanti, però avresti qualche consiglio per chi ha paura di sbagliare?
Consigli. Allora: un consiglio che do è quello, appunto, come dicevo in precedenza, di cercare di creare una rete, soprattutto in questo periodo. Un network di fiducia, all’interno del quale confrontarsi e trovare ispirazione per affrontare quelle che sono tutte le difficoltà e le minacce che ci provengono da ogni parte, attraverso anche lo sviluppo di competenze, specifiche e non specifiche.
Questo è il consiglio che do. Un altro consiglio, che è più generico, secondo me è quello di approfondire, quindi di studiare i temi, perché l’approfondimento dà sempre degli ottimi strumenti e apre la mente alle soluzioni.
Ne sono altamente convinto. Insieme a studiare, per esempio ho sempre pensato che lo sport insegni a gestire l’errore. Io ho un passato da sportivo, da sportivo serio: ho fatto nuoto per tanti anni e poi mi sono dedicato alle maratone.
Per esempio, spesso, durante la mia vita professionale, penso a quando mi allenavo per la maratona e l’allenamento, soprattutto l’allenamento della corsa, è sempre un processo di tentativi ed errori e di capacità di gestire te stesso in relazione agli errori che compi.
Quindi secondo me sia gli sport di squadra, chiaramente per altri motivi, sia gli sport individuali, sono un ottimo punto di riferimento. Soprattutto chi in passato ha praticato sport agonistici, pensando ai periodi in cui lo sport veniva praticato in maniera intensa, può trovare delle ispirazioni nel trovare delle soluzioni.
Bello, questa mi piace molto. Tra l'altro mi fa tornare in mente un bel libro, che consiglio, di Murakami Haruki, che si chiama “L'arte di correre”, “What I talk about when i talk about running”.
E questo – mi hai tolto le parole di bocca – è assolutamente da leggere, se dobbiamo approfondire un tema.
Quindi questo lo consiglieresti. E ti viene in mente qualche altro strumento? Un libro che ti va di suggerire a chi ci ascolta?
Un libro, chiamiamolo così, generalista, di cui è si è parlato anche in un precedente podcast, è sicuramente “Il giovane Holden”, un libro che ho letto più volte, tra l’altro, e che secondo me è un punto di riferimento. Un altro libro che mi è stato regalato e mi è piaciuto molto si intitola “Da zero a uno”.
“From zero to one”.
Si, di Peter Thiel, che appunto è interessante perché, come si evince dal sottotitolo – “I segreti delle startup. Come si costruisce il futuro” – dà un po’ di punti di riferimento su quello che è il comportamento imprenditoriale. O meglio, il comportamento da startup, che è uno degli strumenti molto utili per fronteggiare le minacce.
Certo, grazie.
Grazie e te.
Grazie perché credo sia stata una conversazione molto bella, almeno per me, e ho imparato delle cose. Spero che sia stata piacevole anche per te.
Molto, molto Italo.
Grazie, grazie. Sono sicuro che sarà gradita anche ai nostri ascoltatori. Grazie Tiziano per essere stato con noi. E ricordate, siate fieri dei vostri errori. Perché, se fate pochi errori, vuol dire che non ci state provando abbastanza!
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In collaborazione con Manfredi Montanari, Account Executive Connexia.